- Rubrica a cura del dr. Antonio CItarella
Il Beato Antonio fu un medico di grande valore scientifico che esercitò con spirito di santità la sua professione. Abbiamo testimonianza della sua pratica medica ma non risulta che abbia lasciato alcuna pubblicazione scientifica.
Apparteneva ad una famiglia nobile di Milano, città nella quale nacque nel 1424, e studiò Medicina a Padova. Conseguita la laurea iniziò la sua professione medica che proseguì con successo ricevendo la stima di tutti quelli che lo conobbero. Le sue cure erano certamente efficaci considerato che da quanto sappiamo, guarì malati che altri medici non erano riusciti a fare.
I successi professionali non incrinarono la sua fede religiosa per cui diventò frate dell’ordine di S. Agostino di cui in breve tempo fu eletto priore nonostante che, umile quale era, tentasse di sottrarsi a questo incarico. La sua fama di medico cresceva sempre di più e tutti lo ricercavano e lo veneravano. La sua indole lo portava però a rifuggire da queste manifestazioni di stima e di affetto e, quando gli sembrò che potesse essere travolto dall’entusiasmo della gente, chiese di essere trasferito in un’altra congregazione dove vi fosse un tenore di vita più severo.
Scelse perciò Foligno come nuova sede e, nel convento ove aveva sede la congregazione, gli fu assegnata la cella già abitata da S. Nicola da Foligno. Continuò ad esercitare la professione di medico con santità assistendo i malati nell’ospedale della città e curando i poveri.
Dopo poco tempo dal trasferimento a Foligno ebbe la sensazione sgradevole, anche in questa città, di essere soffocato dalla gente. Chiese allora ai superiori di essere trasferito lontano dall’Italia, a S. Giacomo di Galizia, per esercitare liberamente la sua professione di medico pur rimanendo nell’ordine religioso che aveva scelto sin dall’inizio. Non ci volle molto a guadagnargli la stima e l’ammirazione della nuova comunità ove era stato trasferito.
La testimonianza della sua attività in Spagna ci viene fornita da un atto notarile del Canonico della Chiesa di Compostela, tale Pietro Lupo, dove è scritto che egli esercitò per tre anni l’arte fisica, mostrandosi assai esperto e guarendo molti malati giudicati inguaribili dagli altri medici del luogo. Dopo tre anni di soggiorno in Spagna Antonio ritornò in Italia ammalato. La malattia non risulta negli atti della sua vita. Sappiamo però che da questa affezione, localizzata all’arto inferiore sinistro, ne residuò un accorciamento di circa cinque dita rispetto all’arto controlaterale.
Era l’anno 1470 quando ottenne da Jacopo Aquilano, Generale dell’Ordine di stabilirsi nella città dell’Aquila già martoriata da tante lotte intestine e dove era intanto scoppiata una violentissima pestilenza. Cominciò la sua missione cercando di pacificare gli animi dei contendenti. Camminava con difficoltà appoggiandosi ad un bastone e non sempre era ben accolto dalle persone alle quali voleva portare pace ma egli, tetragono, continuò a svolgere il suo compito di pacificatore. L’epidemia che aveva colpito la città fu così violenta da portare alla morte, in dieci mesi, circa quattordicimila persone. Il Beato Antonio assistette i malati materialmente e spiritualmente. Rifocillò la popolazione stremata e somministrò i sacramenti ai moribondi.
Finita la peste, molti degli aquilani e degli abitanti dei dintorni lo scelsero come medico, colpiti dal suo spirito di abnegazione e dalla sua carità. Nel 1494 dopo aver celebrato la Messa ebbe un malore, forse un ictus cerebrale, che lo tenne paralizzato a letto per circa sei mesi. Sentendo giungere la fine, dopo aver ricevuto i conforti religiosi, chiese di essere sepolto, appena morto, desiderando che la sua tomba potesse essere calpestata in sconto dei peccati commessi in vita.
La salma fu esposta per breve tempo e subito sepolta secondo i desideri del Santo. Nel mentre il becchino scavava la fossa si verificò un fatto strano. Una pietra scagliata, non si sa da chi, colpì il becchino che si accingeva a scavare la fossa. Questi sospese il lavoro che si accingeva a fare e, intanto, si udì una voce che ammoniva: Dio non vuole che questo corpo sia esca dei vermi. Il corpo fu allora deposto in un sarcofago ai piedi dell’altare di S. Caterina dove rimase fino al 1580 quando Diodato di Cagno gli fece costruire un’urna di cristallo che consentiva di vedere il sarcofago.
Molti furono i miracoli attribuiti al Beato Antonio mentre era in vita e dopo la sua morte. Si tratta di indemoniati liberati, di malati di febbre cefalica che guarirono, di feriti che non soffrirono di alcun danno come accadde allo spagnolo Antonio il quale, subito dopo aver venerato il sarcofago del Beato, incontrò i briganti presso il Monte Offida e, avendo invocato il suo nome, riuscì a vincerli nonostante fosse stato ferito con diversi colpi di archibugio che non gli avevano provocato nessun danno.

