- Rubrica a cura del dr. Antonio Citarella
Su San Camillo de Lellis ho già scritto qualche settimana quando accennai a quel soldato avventuriero che, ricoverato nell’ospedale di S. Giacomo in Roma per una ferita al piede che non riusciva a guarire, rimase colpito dall’abbandono in cui si trovavano gli ammalati e dalle pessime condizioni igieniche in cui vivevano. La sua vita in quel periodo cambiò radicalmente perché si convertì alla fede in Cristo e si adoperò per cambiare radicalmente l’assistenza agli ammalati.
Egli comprese che il trattamento che ricevevano i pazienti nell’ospedale, dove era anch’egli ricoverato, non era conforme al rispetto che si doveva ad una persona malata e bisognosa di conforto e formò perciò un gruppo di persone che, senza nessuna ricompensa, doveva prendersi cura dei malati. Nacque allora la primitiva congregazione che fu chiamata inizialmente del Padre Camillo. Egli, intanto, aveva ricevuto gli ordini sacri e molto tempo dopo, nel 1591, il Papa Gregorio XV autorizzò la fondazione di un vero e proprio ordine religioso denominato dei “Ministri degli Infermi”.
Gli appartenenti a questo nobile istituzione di solidarietà umana indossavano un abito scuro con una croce rossa sul petto. La Croce sul petto, come ci ricorda la storia, fu il segno di riconoscimento di quei volontari, detti perciò Crociati, che, dopo la caduta di Gerusalemme nelle mani dei Turchi, combatterono, fino al 1270, ben sette guerre per liberare la Città Santa. La Croce divenne anche per Camillo un simbolo importante non solo perché gli ricordava il sacrificio di Cristo ma anche perché gli ricordava il brutto sogno di sua madre quando egli era ancora uno scapestrato e non si era ancora convertito. La povera donna che soffriva per la vita disordinata che il figlio conduceva, lo sognò mentre era a capo di una schiera di uomini vestiti di un lungo saio con la croce sul petto. In quell’epoca era questa la tenuta dei perseguitati dalla giustizia e la mamma lo ritenne un segno premonitore temendo che il figlio, a causa della sua vita disordinata, potesse commettere un crimine ed essere poi condannato dalla giustizia.
Il sogno si concluse con un grido disperato: Figlio mio fa che il mio sogno abbia mentito. Camillo ricordò l’angoscia della mamma e volle dare alla Croce il significato della rinascita e della speranza. Quando ottenne dal Papa Sisto V il permesso di appuntare la Croce sul petto dei suoi confratelli erano trascorsi più di tre secoli dall’ultima Crociata. La Croce di Camillo, rossa come il colore della carità, non era più il segno di dominio di coloro che avevano combattuto contro i Turchi bensì il segno di una sottomissione ai poveri, agli ammalati, agli afflitti, ai piagati così come lo fu Cristo sulla Croce. Camillo fu il primo a teorizzare e praticare un’assistenza sanitaria ai combattenti di ogni nazione. Il suo motto era infatti: I nemici, se feriti, sono fratelli.
Circa due secoli dopo Henry Dunant, filantropo svizzero e Premio Nobel per la Pace nel 1901, riuscì a codificare le regole approvate poi dalla Convenzione di Ginevra (firmata il 22 Agosto 1864 dai rappresentanti di 12 Paesi tra cui l’Italia), per tutelare il ferito in guerra garantendo il principio di neutralità a coloro che prestavano soccorso. Riuscì nell’impresa grazie all’appoggio politico di Napoleone III che approvò e sostenne il suo progetto. Dunant partecipò alla battaglia di Solferino*, il 24 giugno del 1859, e scrisse il famoso Souvenir de Solferino per raccontare la drammatica esperienza avuta in quella sanguinosa battaglia che si concluse con la morte di 20.000 austriaci, 12.700 francesi, 6.200 soldati sabaudi.
Anche il nostro Ferdinando Palasciano si era battuto negli stessi anni per affermare la neutralità dei feriti in guerra ma le sue idee non furono immediatamente recepite, come invece avvenne per Dunant che sosteneva gli stessi principi ma aveva dalla sua parte politici importanti che lo aiutarono a diffonderle. Dunant nel suo scritto sulla sanguinosa battaglia elogiò le donne lombarde cioè le volontarie che con amore curarono i feriti ed i malati. Non fece però menzione dei circa cento camilliani che con la Croce Rossa sul petto prestarono soccorso ai feriti.
Lo scrive invece Giorgio Cosmacini, illustre storico della Medicina, che fa riferimento a precise fonti, quali gli Archivi della Provincia Lombardo Veneta dell’Ordine di S. Camillo. Lo stesso storico così conclude un suo scritto su questi fatti: La Croce Rossa era dunque già presente a Solferino, cucita sul petto dei fratelli camilliani prodighi di cure ai feriti e ai malati di guerra, senza distinzione fra gli appartenenti all’uno o all’altro degli schieramenti nemici. Camillo con i suoi ministri era ed è amico di tutti quanti avevano ed hanno bisogno di Lui.
*La battaglia di Solferino fu combattuta, nel contesto della seconda guerra d’indipendenza italiana, dall’esercito austriaco da un lato e da quello francese e piemontese dall’altro. Vide la sconfitta dell’Austria che con essa perse la guerra e la Lombardia.

