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“E tre Re”: poesia di Nando Silvestri – chitarra del maestro Marcelo Marun Cardozo

“E tre Re”, l’ultima poesia in lingua napoletana dello scrittore e poeta casertano Nando Silvestri, pluripremiato dal “Terzo settore” lucano (Ass. A Castagna Ra Critica presieduta dal magistrato Milena Falabella) e dalla Prof.ssa Patrizia Del Puente (Università degli Studi della Basilicata) — Musiche del chitarrista spagnolo, maestro Marcelo Marun Cardozo. Produzione video Gianni Di Lauro.


La poesia e’ il frutto di una passeggiata autunnale nei vicoli di Napoli come il Vico “Tre Re” , passando per la sontuosa e affollatissima via Toledo. Le strade di Napoli sono quasi sempre baciate dal sole e dalla luce , anche nelle stagioni più inclementi.

Nelle strade inondate di luce sembra che anche il cuore e la mente della gente che le percorre si illuminino di aspettative e rinnovamento. Ma sono le ombre delle stradine e delle viuzze secondarie della città partenopea senza tempo a destare maggiori spunti di riflessione sulla caducità della condizione umana e sulle contraddizioni spesso insanabili di vite ed esistenze travagliate.

La quotidianità diventa, dunque, un rituale sacro celebrato in religioso silenzio fra le mura di antichi palazzi, dimore storiche di soldati spagnoli. La dignità e i valori che trasudano da sorrisi stanchi e volti macilenti pone in risalto lacerazioni interiori portate dalla gente comune come vere e proprie ferite di guerra.

La necessità impone perciò sacrifici talvolta inconfessabili che si fondono con l’austerità di scenari di quartieri tanto antichi quanto complessi da comprendere. In tale contesto Napoli si trasforma in un “modello matematico” in grado di rappresentare e spiegare tutte le realtà più sfuggenti e impenetrabili dell’ Italia meridionale, dove l’ uomo riesce a trovare conforto solo nella spiritualità. Fede e devozione diventano perciò autentiche vibrazioni di questa spiritualità simboleggiata, nei versi, da Maria Francesca, “Santa dell’ impossibile”.

Ma a volte, anche le imprese impossibili, come i sogni si possono avverare, almeno in parte. Occorre però che l’uomo faccia appello alla Ragione, il logos dei più saggi esponenti della Magna Grecia, ancora radicata nella cultura del Mezzogiorno. Forte del suo passato il capitale umano meridionale comprende che l’audacia e la caparbietà si configurano come gli unici antidoti più efficaci contro la rassegnazione supina e il nichilismo. La modernità e il progresso rappresentano spesso un atroce compromesso fra l’ipocrisia più accanita e la barbarie primordiale, un’intuizione del lucidissimo filosofo napoletano Giambattista Vico.

Allora ricordare chi siamo stati diventa una visione salvifica che può aiutare a custodire la propria identità e la continuità intellettuale, al riparo da volgari contaminazioni e corruzione. Il passato non e’ tanto un orpello malinconico ma, piuttosto una “invetriata” attraverso la quale mettere a fuoco la propria identità in armonia con la natura come scriveva Dino Campana nei “Canti Orfici”. Il mare e’ l’emblema più autentico di questa riappropriazione del proprio io. Si tratta di un iter alquanto articolato e impegnativo che, nella poesia, passa attraverso il vecchio amico “Salvatore”; “Dinuccia” (l’Isola di Dino), la piccola isola calabrese che ancora protegge, come uno scrigno sommerso, emozioni vitali, passioni e segreti; la secca di Maratea, avamposto di riconciliazione interiore dove persino il mare può trovare finalmente pace.

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