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La medicina ed il monachesimo di occidente: la regola di S. Benedetto

Caserta (di Antonio Citarella). S. Benedetto da Norcia, fondatore del Monachesimo Occidentale, scrisse la sua “Regola” nel monastero di Montecassino tra il 500 ed il 530 d.C. Nelle intenzioni del Santo il testo doveva contenere le prescrizioni, ad uso dei monaci, per regolare il loro comportamento nella comunità. Oggi viene però considerato non solo una guida per l’ordinamento monastico ma anche una fonte di ispirazione per le istituzioni e per la vita civile. Vi sono contenute, tra l’altro, prescrizioni, riguardo la salute e l’assistenza agli ammalati, che fanno considerare S. Benedetto, che non era Medico, come il fondatore della Medicina Monastica. Il Santo riserva al malato una particolare attenzione.

Nella Regola 36, si legge: 1-L’assistenza agli infermi va posta prima e sopra ogni cosa; essi vanno serviti veramente come se fossero Cristo in persona –2- poiché Egli ha detto “Ero malato e mi avete visitato” e 3- “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me “. 4- Da parte sua chi è ammalato consideri che viene servito per onore a Dio, e non spazientisca con pretese eccessive i confratelli che lo assistono; 5-gli infermi, tuttavia, devono essere sopportati pazientemente poiché, per mezzo di loro, si acquista una più grande ricompensa. 6- L’Abate presti la più grande attenzione perché gli infermi non siano in alcun modo trascurati. 7-Ai fratelli malati venga riservato un locale a parte ed un inserviente timorato di Dio che sia diligente e premuroso. 8-Sia loro permesso di prendere un bagno tutte le volte che sarà necessario; ai sani, invece, e soprattutto ai giovani, lo si conceda più raramente. 9- Ai più debilitati si conceda inoltre di mangiare carne, perché possano riprendersi; ma una volta ristabiliti, tutti, come al solito si asterranno dalle carni. 10- L’Abate presti la più grande attenzione perché gli ammalati non vengano trascurati dai cellerari o dagli inservienti. Ogni negligenza commessa dai suoi discepoli ricadrà su di lui”.

Si può facilmente osservare che la rigidità della Regola, dettata in origine per i monaci, si attenua di fronte alla malattia. Il bagno che nella tradizione del monachesimo era visto come una cura eccessiva e pericolosa per il proprio corpo, viene invece riservato agli ammalati a scopo terapeutico. Anche l’uso delle carni, proibito per i monaci, viene invece concesso agli ammalati. Nella Regola 37 si legge:1-Benchè la natura umana inclini all’indulgenza verso queste età, cioè quelle dei vecchi e dei bambini, anche a loro, tuttavia, deve provvedere l’autorità della Regola. 2- Si abbia sempre riguardo per la loro debolezza, e, per quanto riguarda l’alimentazione, non li si sottoponga alle severe restrizioni della Regola, 3- ma si tenga nei loro confronti un atteggiamento benevolo e si conceda di anticipare le ore dei pasti”.

Massimo rispetto, quindi, per il malato e per la malattia.

Dei malati si occupava un monaco che aveva imparato a trattare le malattie leggendo i testi classici di medicina provenienti dal mondo greco e latino, copiati e tradotti dai monaci amanuensi addetti a questo compito. Il monaco per curare si serviva di erbe coltivate nell’orto del convento, cosiddette “semplici”, perché erano erbe che non venivano manipolate ma usate così come si trovavano in natura.

Questo monaco era detto infirmarius ed era, in effetti, il medico del convento. S. Benedetto aveva educato la generazione dei suoi monaci all’obbedienza ed al rispetto della Regola e questo consentì nell’Occidente la nascita della Medicina Monastica cioè di quella Medicina che, nata in un primo tempo per i bisogni quotidiani del monastero e per la pietà verso il fratello sofferente, ben presto si diffuse fuori del monastero in virtù di quello stesso spirito di carità che spingeva il fratello a curare il fratello infermo. Come si faceva a rifiutare l’assistenza e le cure ad un pellegrino che ritornava con una malattia dal suo pellegrinaggio in Terra Santa o ad un Crociato che chiedeva al monacus infirmarius di medicare le sue ferite che non riuscivano a guarire? Nessuna regola monastica rifiutava questo atto di carità ma in questo modo la medicina monastica uscì dal chiuso della clausura e diventò la medicina del mondo laico oltre che di quello monastico. In questo periodo non vi erano medici e non vi erano scuole mediche. Vi erano alcuni che si erano formati da soli e dicevano di essere medici ma, di questi, molti erano ciarlatani. Essi non visitavano però gratuitamente ma chiedevano soldi. Pochi avevano la possibilità di pagare una loro prestazione. Il monacus infirmarius, cioè il monaco medico, uscì allora dal monastero per curare gratuitamente i sofferenti, soprattutto i poveri.

Con il tempo però la sua diventò una professione dalla quale ricavava un guadagno, sia pur minimo, che serviva ad aiutare il monastero nei suoi bisogni materiali. Ben presto però la pratica medica diventò un incentivo per peccare contro il voto della povertà e della castità che i monaci avevano fatto. Avvenne allora che i monaci infirmatari si assentavano troppo a lungo dal monastero e, con il pretesto di curare, diventarono più secolari che religiosi. Il danaro che guadagnavano li rese corrotti. Guadagnare non serviva più per l’esigenza della comunità monastica ma serviva per soddisfare la propria avidità e questa fu la causa principale della decadenza della medicina nata, secoli prima, nei monasteri.

Per arginare la corruzione dei monaci-medici, i Pontefici dell’epoca vietarono ai monaci dapprima e, successivamente, a tutti coloro che facevano parte di un ordine religioso di esercitare la medicina. Così finì, nei primi anni del secondo millennio la Medicina dei Monasteri. Intanto erano nate le Università e l’insegnamento della Medicina continuò in queste istituzioni.

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